RONCHI DEI LEGIONARI – Più volte ospite e protagonista di tante iniziative ed incontri nella nostra regione, grazie anche all’associazione “Leali delle Notizie” ed alla biblioteca “Sandro Pertini” di Ronchi dei Legionari a Redipuglia, dopo la storica intervista al presidente turco, Erdogan, Lucia Goracci, inviata di punta di Rai News 24, nelle settimane passate, è...
Nostra intervista a Lucia Goracci
RONCHI DEI LEGIONARI – Più volte ospite e protagonista di tante iniziative ed incontri nella nostra regione, grazie anche all’associazione “Leali delle Notizie” ed alla biblioteca “Sandro Pertini” di Ronchi dei Legionari a Redipuglia, dopo la storica intervista al presidente turco, Erdogan, Lucia Goracci, inviata di punta di Rai News 24, nelle settimane passate, è stata una dei pochi giornalisti, l’unica italiana, ad entrare nell’antica città di Nimrud, a nord dell’Iraq, appena liberara dall’Isis. Un’emozione grandissima quella vissuta in quelle ore in un sito archeologico che aveva resistito a 13 secoli di guerre e di conquiste. E che ora è l’ombra di se stesso. I suoi racconti e le immagini sono entrate con tutta la loro drammaticità e potenza nelle case degli italiani che, in questo modo, hanno potuto fare i conti con la distruzione, lo scempio ed il massacro già testimoniato quando, nel 2015, lo Stato islamico aveva diffuso i video dei suoi miliziani intenti a cancellare, per sempre, la storia.
- Come hai preparato questo importante lavoro?
“Nelle ore immediatamente successive alla liberazione di Nimrud, con la nostra automobile, abbiamo subito cercato di ragggiungere la città che dista circa 30 chilometri a sud di Mosul. Ma non siamo riusciti a superare gli ultimi check-point militari. Era evidente il pericolo di entrare in una zona considerata ancora grigia, nella quale l’Isis si confonde con i liberatori. Bisognava dare il tempo di completare la bonifica del terreno. E’ purtroppo una consuetudine dell’Isis, quando ripiega dalle zone occupate, disseminare il terreno di mine, di trappole esplosive, così come, nella primavera scorsa, era successo con Palmira che era stata bonificata dalle truppe russe”.
- Quanto è durata l’attesa?
“Ci sono voluti due giorni, ma non appena ho avuto l’occasione, sono saltata sui mezzi della IX Divisione corazzata dell’esercito iracheno e mi sono trovata a Nimrud che, voglio ricordarlo, era stata occupata nell’estate del 2014”.
- Quale situazione hai trovato?
“Quella che, purtroppo, mi era stata annunciata e che avevo conosciuto attraverso i video dell’Isis. Sono rimasta sconvolta dalle mazzate e dai colpi di trapano cui sono stati oggetto i rilievi ed ogni singola statua, così come i “lamassù”, ovvero i tori alati con sembianze umane che erano stati distrutti prima che il sito venisse fatto saltare in aria. Mi ha fatto impressione vedere lo scheletro di quello che, un tempo, era l’ingresso alla città. Non avevo visto prima di ora Nimrud e quello che mi son trovata dinnanzi è stata solo distruzione e macerie”.
- Un sito che, sino ad oggi, aveva resistito.
“Certo che ha fatto a tutti noi ancora più impressione e sconcerto il fatto che questi luoghi erano rimasti indenni da 13 secoli di conquiste, al passaggio di eserciti che non agivano certo con il manuale del buon soldato. Mai nessuno si era permesso di toccare la storia, nemmeno una dittattura feroce come quella di Saddam Hussein”.
- Perchè tanta barbarie?
“L’Isis considera tutto quello che è diverso dall’oscurantismo islamico al quale si richiama come un nemico da abbattere. L’obiettivo è quello di elimnare il Medio Oriente plurale e tutto ciò che testimonia anche la nascita della religione cristiana”.
- La sensazione lungo il percorso?
“Ci sono ancora, sulle case, le bandiere bianche che sono state usate per cercare di risparmiarle dai feroci bombardamenti. Lungo la strada ci siamo imbattuti in due file di persone che salutavano i soldati e ci è sembrato un saluto sincero, un saluto che celava sollievo e speranza”.
- Sei rimasta un mese in Iraq, qual’è la situazione?
“C’è la sensazione che, ora più che mai, si faccia sul serio e che si voglia liberare il Paese. Quella su Mosul, in particolare, sarà un’operazione ancora molto lunga. E’ una città molto grande, nella quale l’Isis si è trincerata ormai da due anni. Una città che si presta alla guerra urbana, strada per strada e nella quale si fa uso di autobombe e di soldati kamikaze. E, poi, non tutti i soldati iracheni la conoscono bene, fanno facica a districarsi nei suoi quartieri. La speranza è quella che, poi, si possano insediare leader politici che prendano le distanze dalle vendette e dalla voglia di pareggiare i conti in maniera sommaria. Solo così l’Iraq potrà concretamene rinascere”.