Giuseppe Impastato, detto Peppino nacque da una famiglia mafiosa. Il ragazzo ruppe presto i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa e avviò un’attività politico-culturale di sinistra e di antimafia.
Nel 1965 fondò il giornalino L’idea socialista. Dal 1968 partecipò con il ruolo di dirigente alle attività delle nuove formazioni comuniste, come Il Manifesto, e in particolare Lotta Continua.
Nel 1977 fondò la sua Radio Aut, una radio libera e autofinanziata, a Terrasini, in provincia di Palermo. Peppino usava liberamente questo mezzo per attaccare e denunciare i potenti mafiosi del paese, con coraggio e determinazione. Primo tra i suoi bersagli era il capomafia Gaetano Badalamenti.
Nel 1978 si candidò nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, ma non fece in tempo a sapere l’esito delle votazioni perché venne assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio. Peppino aveva ricevuto varie minacce che però non arrestarono l’intensa attività politica e di stampo popolare contro la mafia. Procedette con la campagna elettorale, ignorando coraggiosamente le minacce ricevute. La morte di Impastato passò in sordina in quanto lo stesso giorno venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse.
La radio cessò le trasmissioni qualche mese dopo l’omicidio dello stesso Peppino.
L’attività del fratello Giovanni e dalla madre, assieme ai compagni di militanza del Centro siciliano di documentazione, portarono al riconoscimento della matrice mafiosa dell’omicidio, che in un primo momento fu attribuito ad ignoti dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, nel 1984.
Ma la battaglia della famiglia di Impastato, assieme a quello che successivamente divenne il Centro Impastato, per trovare la verità, non si arrestò: nel 1986 venne pubblicato il volume La mafia in casa mia, che narra della vita della madre assieme al dossier Notissimi ignoti, dove venne indicato come mandante del delitto di Peppino, il boss Gaetano Badalamenti.
Nonostante ciò, il Tribunale di Palermo decise nel 1992 di chiudere il caso ribadendo sì la matrice mafiosa dell’omicidio, ma anche l’impossibilità di trovare i colpevoli.
Una svolta per la riapertura del caso ci fu nel 1994, quando il Centro Impastato chiese l’interrogazione del nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, in precedenza affiliato alla mafia di Cinisi. Salvatore Palazzolo venne interrogato nel 1996 e indicò come mandanti proprio Gaetano Badalamenti, assieme al suo vice Vito Palazzolo.
Prima di arrivare alla condanna passarono quattro anni per l’organizzazione dei processi, in cui i familiari, il Centro Impastato, Rifondazione Comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei Giornalisti chiesero di costituirsi parte civile.
Badalamenti e Vito Palazzolo vennero condannati tra il 2001 e il 2002, il primo all’ergastolo e il secondo a trent’anni.
Successivamente, la Procura di Palermo svolse altre indagini per capire di più in merito al depistaggio iniziale e sulla reale matrice dell’omicidio.