Inaugurata “Refused Dregs” di Adriano Gon per il ciclo “Arteterritorio”

E’ stata inagurata sabato 28 Aprile, nella sala espositiva della sede dell’associazione Leali delle Notizie, la personale di Adriano Gon inserita nel ciclo di “Arterritorio”. La mostra potrà essere visitata sino al 26 Maggio. La presentazione di Enrico Colussi. Con la mostra “Refused Dregs” Adriano Gon propone un discorso sulla plastica e sui suoi utilizzi...

E’ stata inagurata sabato 28 Aprile, nella sala espositiva della sede dell’associazione Leali delle Notizie, la personale di Adriano Gon inserita nel ciclo di “Arterritorio”. La mostra potrà essere visitata sino al 26 Maggio.

La presentazione di Enrico Colussi.

Con la mostra “Refused Dregs” Adriano Gon propone un discorso sulla plastica e sui suoi utilizzi alternativi rispetto a quelli cui siamo abituati oggi. Le sue considerazioni artistiche mi hanno portato a fare una piccola ricerca sulla storia della plastica per conoscere chi sia stato ad inventarla e per capire perché ha avuto questo incredibile successo.

È una storia affascinante, che inizia con l’inglese Alexander Parkes che inventò il nitrato di cellulosa nel 1862: sono dunque oltre 150 anni che l’uomo ha a che fare con questo materiale. Con il passare degli anni gli usi della plastica sono diventati sempre più frequenti e popolari: anche l’Italia ha avuto il suo eroe della materia. Giulio Natta vinse il Premio Nobel per la chimica dopo aver sintetizzato il Polipropilene poi commercializzato col marchio Moplan, che divenne il simbolo del boom economico dell’Italia negli anni Sessanta e che venne immortalato da un celebre pubblicità per la Televisione di Stato.

Le tappe fondamentali per il trionfo della plastica sono state le due guerre mondiali: la scarsità di materie prime ha portato a creare in laboratorio, lavorando con formule chimiche, esperimenti e sintesi quello che la Natura non riusciva più a fornire all’uomo in tempo reale e a basso costo.

La cosa curiosa di questa storia è che la plastica ha avuto successo perché ha sostituito in modo semplice ed economico gli oggetti di origine vegetale e animale che costavano di più ed erano più difficili da lavorare. E quindi per una bottiglia al posto del vetro si è usato il PET, per vestirsi abbiamo trascurato le fibre tessili come il cotone e la lana e ci siamo innamorati delle fibre sintetiche come il poliestere o il pile. Per i mobili della cucina non abbiamo più usato il complicato legno ma la semplice fòrmica, per i dischi ecco il vinile prendere il posto della gommalacca. Abbiamo ricoperto tutto e tutti di nylon, di film, di nastro adesivo, di cellophane e di cerotti. Risparmio, malleabilità, praticità e facilità di riproduzione erano i punti chiave per il trionfo della plastica: ma è stata una grande illusione, si pensava che non servisse più abbattere un albero per avere un tavolo, si pensava che usando la plastica l’ambiente si sarebbe salvato e che la Natura in questo modo ci avrebbe ringraziato. Ed invece non è stato così.

Questa grande illusione la paghiamo oggi. In questi giorni abbiamo letto sui giornali dell’inquinamento degli oceani, dove nuotano, anche a grandi profondità, 51 trilioni di particelle di microplastica. 51 trilioni di particelle: riuscite ad immaginarle? Un trilione è un milione di bilioni, cioè è un miliardo di miliardi: per contare tutti gli zeri che ci sono dentro un trilione ci vuole un poco di tempo. 51 miliardi di miliardi! Per fare un paragone, ricordiamoci che le stelle della Via Lattea sono circa 150 miliardi e che tutti gli uomini e le donne che sono vissuti sulla Terra dall’inizio dell’umanità ad oggi sono 107 miliardi.

A causa di tutte queste microparticelle, ci sono 600 specie animali in pericolo. Ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei nostri mari e questa plastica strangola gli abitanti degli oceani perché toglie loro l’ossigeno. Nell’Oceano Pacifico naviga il Pacific Trash Vortex: è una immensa isola composta da spazzatura che non sappiamo nemmeno quanto sia grande, molti dicono che sia grande come tutto il territorio degli Stati Uniti… E le previsioni per il futuro sono nere: è stato calcolato che nel 2050 negli oceani avremo più plastica che pesci.

Sono dati terrificanti, è quasi difficile capire il reale significato. Siamo circondati dalla plastica e non sappiamo che fare. Per ragionarci sopra, allora, servono gli artisti: nei momenti di crisi e di incertezze della storia dell’uomo sono gli artisti a portare un po’ di luce.

Ecco dunque l’importanza della mostra di Adriano Gon. Le idee di Adriano sono chiare e illuminanti: l’artista ha raccolto la plastica per farla diventare un oggetto nuovo, grazie alla sua arte e al suo entusiasmo nel manipolare gli oggetti. L’oggetto in plastica è un’opera d’arte, una cosa da ammirare e da amare e non più una cosa usa e getta. Adriano ha usato parole chiave con la stessa iniziale: rifiutare, reinventare, ricominciare, riusare, riempire, rinascere, riciclare, ripensare.

La mostra si sviluppa su diversi livelli.

Adriano ha preso gli oggetti in plastica di tutti i giorni, li ha guardati, li ha analizzati e alla fine li ha riempiti con gesso e alabastro, spargendoli su supporti di metallo. Ne è nato un lavoro sorprendente: questi contenitori senza contenuto assumono forme nuove, sono oggetti privati del loro contesto e della loro funzionalità che diventano oggetti diversi e puri. Ed è anche divertente, e fa parte del gioco ideato da Adriano, quello di mettersi lì a cercare di capire che cosa erano questi oggetti, prima di essere trasformati dall’artista.

Un’altro momento della mostra è scandito dalle buste in plastica riempite dai fondi di caffè: mi hanno fatto venire in mente subito due cose, che la polvere del caffè veniva usata sin dall’antica Mesopotamia per indovinare il futuro e in Turchia ancora oggi la caffeomanzia è molto popolare: ci sono questi caffeomanti che controllano i fondi e dicono al bevitore di caffè quale sarà il suo avvenire. I residuati del caffè poi mi fanno venire in mente un’altra cosa, di quando mio nonno, che aveva fatto l’operaio ed era anche contadino, li usava per fertilizzare e purificare i campi. I caffeomanti e i contadini studiano questi scarti che non servono più a nessuno e ne intuiscono il significato e la potenzialità e li usano per predire e per ricreare il futuro.

Un altro settore della mostra è riservato alle scatole luminose (lighting boxes) che raccolgono i fogli di carta carbone di vecchie macchine da scrivere. Le macchine da scrivere non vengono più usate e non vengono più usate neppure le carte carbone. Sono anch’essi degli scarti, ma hanno ancora qualcosa da dire e dicono qualcosa di nuovo. Sottolineate dalla luce, ci sono tutte le parole che quelle persone hanno scritto. Chissà che fine hanno fatto quelle persone. Le loro parole invece sappiamo dove sono, sono qui e le vediamo in controluce. Sono anche questi scarti che vivono una nuova, inedita vita. Mi piace anche il fatto che Adriano abbia usato proprio un oggetto che si chiama carta carbone. Il carbone era il combustibile più importante, una volta, era il motore e l’energia di un mondo antico, che oggi ha trovato nuovi propulsori, come il petrolio che è oggi il nostro motore della vita e che è un altro combustibile fossile che inquina e non sa smaterializzarsi.

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