Chi affronta la fatica di mettere su un festival del giornalismo in tempi di coronavirus, chi è qui in una serata che sembra quasi invernale, chi riceve un premio in nome di una persona uccisa perché voleva combattere la corruzione di un governo, sceglie, magari senza saperlo, un giornalismo diverso. I giornalisti dovrebbero essere...
3^ ed. Premio Leali delle Notizie – In memoria di Daphne Caruana Galizia (Copyright Barbara Schiavulli)

Chi affronta la fatica di mettere su un festival del giornalismo in tempi di coronavirus, chi è qui in una serata che sembra quasi invernale, chi riceve un premio in nome di una persona uccisa perché voleva combattere la corruzione di un governo, sceglie, magari senza saperlo, un giornalismo diverso.
I giornalisti dovrebbero essere le voci di coloro ai quali hanno tappato la bocca, non di chi aggredisce una ragazza dopo un anno e mezzo di prigionia, o svilisce la vita di una persona che viene da noi fuggendo da una guerra.
I giornalisti e i giornali che hanno il tempo per insultare gli altri, dovrebbero farsi una vita vera.
Questo mestiere si fa per tutte quelle persone che non hanno voce. Persone che vivono vite difficili. Quelli che la vita la perdono e di cui noi raccogliamo l’eredità. Si fa giornalismo per ricordare che non siamo uno, ma tutti. Ed è nostro dovere proteggere chi ha bisogno, che sia in prigione per un tweet o insultato da un razzista.
Siamo in Friuli Venezia Giulia e non possiamo non ricordare Giulio Regeni, e la vergogna politica dell’ingiustizia ma non possiamo neanche dimenticare che nelle carcere egiziane ci sono 60 mila detenuti politici. Così come in Iran, in Cina, in Arabia Saudita e in decine di altri paesi. Perché lo abbiamo imparato con il coronavirus quello che succede a chiunque da qualsiasi parte del mondo, può succedere anche a noi.
Oggi in Italia dobbiamo abbassare i toni e alzare il livello.
Il mondo è cambiato ci dicono visualizzazioni e algoritmi. Oggi notizie e notiziari sfruttano al massimo internet, podcast, streaming, facebook, twitter, si trasforma la gente in reporter tramite istragram, snapchat e blog. Gli utenti diventano il pubblico, il pubblico diventa collaboratore.
Da persona che fa questo mestiere da 25 anni, non credo che alla gente esploderà la testa se si raccontano le cose nel modo giusto, corretto, senza istigarle al razzismo solo raccontandogli cosa succede nelle loro vite e anche magari nelle vite degli altri.
Sì, il mondo è cambiato, ma non lo è la necessità sociale di avere un organo come il giornalismo a presidio della democrazia. E spesso quel giornalismo che non si riesce a fare nei giornali, lo si fa in posti come questo, dove un festival diventa un momento di giornalismo impegnato. Fuori da questo tendone, mi colpisce l’indifferenza dei media tradizionali verso talento, esperienza e credenziali e temo che l’assenza di parole come verità, fiducia e professionalità non sia una svista. Il buon giornalismo non può essere fatto da chiunque abbia un telefono, né da chi viene pagato quattro euro a pezzo. E’ inaudito e inaccettabile.
I giornalisti veri non scrivono per un giornale ma per la società sana, che riguardi la nostra città o il resto del mondo. Raccontano storie, fatti e persone. Cercano di farlo con empatia verso la sofferenza, attraverso l’informazione quella indipendente che guarda a chi ha bisogno e non chi è al potere.
Giornalisti che credono nei ponti e non nei muri. Credono nelle crepe, nelle aperture, nella contaminazione. Giornalisti che sono per le strade, tra i villaggi, negli interstizi. Un giornalismo a servizio degli altri, non che li usa. E vi assicuro che la qualità non va mai in fallimento. Solcare questo palco è una promessa per chi crede in questo mestiere.
Il lavoro del giornalismo è garanzia, denuncia, racconto, approfondimento e studio. Questo festival, questo premio, e questa giornalista che sta per essere premiata, come tutti i freelance sa quanta fatica si fa ad arrivare a fine mese eppure si continua a farlo, perché ci si crede, perché è importante, perché è il nostro modo di celebrare la vita, anche rischiandola.
A Fabiana Pacella amica e collega, va il premio Leali delle Notizie in memoria di Daphne Caruana Galizia, questa la motivazione
Giornalista coraggiosa e tenace che per amore della sua terra, la Puglia, non ha esitato a svolgere indagini e reportage sul panorama politico, imprenditoriale, economico e criminale pugliese. Lavoro che le è costato un incarico da addetto stampa e ritorsioni e querele temerarie per aver reso noti i collegamenti tra indagati eccellenti. Tra le inchieste di cronaca, quella che ha portato al commissariamento per infiltrazioni mafiose del Comune di Carmiano. Nonostante le minacce, Fabiana Pacella non si è mai tirata indietro e continua la sua lotta per la libertà di stampa, di espressione e di informazione.
[Barbara Schiavulli]